I poveri di Gesù Cristo

Può sembrare strano oggi, ma nel Seicento fare il musicista era uno dei mestieri più sicuri per un giovane, soprattutto a Napoli: la città aveva 400 mila abitanti ma anche 500 chiese cappelle e confraternite che cercavano i migliori musicisti per distinguersi nelle cerimonie pubbliche. Fu anche questo trend a trasformare ben quattro dei tanti orfanotrofi – che a Napoli si chiamavano “conservatori” – dove si insegnava un mestiere a bambini senza famiglia, in scuole pubbliche di musica, le prime in Europa. Il nostro Conservatorio nacque negli ultimi anni del Cinquecento per opera di un francescano visionario, Marcello Fossataro da Nicotera, che volle emulare le opere di carità compiute in quel tempo dagli oratoriani di Roma, cominciando a radunare decine di ragazzi abbandonati, che guidava in giro per le strade di Napoli chiedendo la carità per i “poveri di Gesù Cristo”: da qui nacque il nome dell’istituto, dove Fra Marcello vide realizzarsi il suo sogno.

Grazie alle donazioni raccolte, fu in grado di acquistare un gruppo di case sul lato della strada che allora si chiamava di San Lorenzo (oggi via dei Tribunali) proprio di fronte alla grandiosa chiesa dei padri Filippini chiamati a Napoli Girolamini, e cominciò ad organizzare lo spazio di quello che doveva diventare il Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo subito dietro la chiesa di Santa Maria del “Pilar” (ovvero “della colonna”).

I ragazzi raccolti da padre Marcello si aggiravano per Napoli organizzati in squadre (“flotte” o “paranze” come le barche) e imparavano a cantare litanie e canzoncine sacre che aumentavano la generosità delle offerte. Quello che era stato l’ultimo degli orfanotrofi creati in città, divenne il primo totalmente dedicato all’insegnamento della musica, grazie all’intuizione del Cardinale Ottavio Acquaviva d’Aragona, che lo visitò nel 1606 suggerendo di trasferirvi un insegnante di musica professionista. Il primo fu Giovan Giacomo De Antiquis, maestro e canonico della chiesa di San Nicola di Bari, città da cui si era trasferito a Napoli, per insegnare nel Conservatorio dal 1605 al 1608 divenendo canonico della chiesa di Santa Maria della Colonna. Dopo De Antiquis nei primi decenni del Seicento entrarono a Santa Maria della Colonna altri musicisti e si stabilì che gli insegnanti fossero almeno quattro: il maestro di cappella, un suo aiutante che insegnava il canto, e poi un maestro di strumenti a corde e uno di strumenti a fiato. Gli allievi erano all’inizio 60 ma cominciarono ad essere sempre più numerosi coloro che pur non essendo orfani erano ammessi come “convittori” a pagamento. Nel 1633 l’arcivescovo Boncompagni trovò nel Conservatorio una biblioteca che conteneva “Libri de musica” sacri e profani di celebri compositori del tempo, come lo spagnolo Cristobál Morales, Giovan Maria Sabino, Luca Marenzio, Ruggero Giovannelli, Pomponio Nenna e il principe di Venosa Carlo Gesualdo.

I maestri provenivano da diverse parti del viceregno o addirittura da più lontano. Dal 1644 il maestro di cappella del Conservatorio, oggi si direbbe il direttore, era il pugliese Antonino Sabino, nipote del più celebre Giovan Maria. Gli insegnanti di violino e di strumenti a fiato continuarono ad essere scelti tra i maggiori virtuosi di Napoli per tutto il secolo. Particolarmente seguiti erano gli allievi evirati, ragazzi provenienti dalle sperdute province del viceregno ma anche da Roma e altre città. Gli eunuchi portavano come loro distintivo speciale una cintura rossa oltre al berretto turchino. Tutti gli altri “figliuoli” portavano cappelli turchini e avevano sostituito l’originale saio francescano di colore bigio adottato da frate Fossataro con la “saietta bianca con mantellina di tarantola turchina”, mentre il resto della veste era rosa: i colori attribuiti a Gesù Cristo. Spesso erano registrate negli inventari le “ali degli angiolilli” indossate dai giovani allievi nelle processioni per emulare i cori angelici (spesso sollevati in aria con macchine apposite). Interessanti per la storia economica sono anche le spese per i vestiti, le scarpe (“calzate”) e per il nutrimento quotidiano.

A partire dalla seconda metà del Seicento, il nostro conservatorio grazie alla presenza di illustri maestri, acquisì una gande fama in città e i suoi servizi musicali venivano pagati generosamente. A quei tempi i figlioli erano quasi un centinaio, di cui una ventina erano convittori che pagavano per dormire e vivere nel Conservatorio. Grazie a questo stato di benessere finanziario, i governatori decisero di rifondare la piccola chiesa di Santa Maria Colonna con un ambizioso progetto di Antonio Guidetti. La splendida chiesa dove siete voi adesso fu inaugurata nel 1716 e per maggiore gloria divina furono abbellite le pareti con tele di Paolo De Matteis e un grandioso organo dorato la cui cassa esiste tuttora nella cantoria in alto. Il Conservatoio poteva vantare una schiera di maestri e allievi di risonanza europea: dopo Salvatore, basti pensare ai nomi di Gaetano Greco, Donato Ricchezza, Nicola Porpora, Francesco Durante, Leonardo Vinci e il più famoso di tutti, Pergolesi.
Dopo la morte di Greco, nel 1728, non ci si accorse subito che i tempi erano cambiati e gli studenti che terminavano i loro studi al Conservatorio non trovavano più facilmente un lavoro come avveniva in passato. Così nel 1743 le autorità decisero di chiudere il Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo.

Oggi, dopo quasi tre secoli, il Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo e la Chiesa di Santa Maria della Colonna tornano ad essere un luogo di musica e di bellezza come lo era stato per 150 anni dal tempo di Fra Marcello Fossataro, gli anni in cui in tutto il mondo si sparse la fama di Napoli come capitale della musica.
A Napoli la grande musica nasce da un gesto d’amore.